LETTURE



Da “IL GIORNALE” DI PUTIGNANO – 2010:

Dedica di Remino Romanazzi all’amico Giovanni Marzullo
in occasione del suo 87° compleanno.
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L’ammeër Giuann
p’ ccùmm s’ giustresce l’ann
Da bc’clett i affizziunat
tott i deje s’fasce a caminat
Da quann gavitav ndo centr stor’ch
A pigghieij sta r’ ttol’ ch
I mmò ga gavitesc in perifereij
S spost qua’ do’ ruot tott i deij
O da salut, o da scinnöt
M’pacc o’ mano’bie
port I vörs app’nnöt,
Von chien d’ vittuvagghie
pan, past i pur l’agghie.
Sta storie iav na sessanten’a d’ann
da ce s’spusei Giuann,
e mo’n tien uttantasett
l’ho pigghiat mpacio’nas a biciclett.
Ston tant i tant ca von e’ dottor
I s’lamentn pi d’lor
Cu l’esercezie ca fasc ccodd
d’lur n sent pecch i nodd
Iall’or u sa ciatt’dech, Giuann
T fazz l’agorie d campà cint’àann
I c’erm cupiat u medt tou
Ciu ‘sap quant’ann er’m’ a campà
d’cchioue.
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Libera traduzione e adattamento [agan].
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L’ammiro Giovanni
per come si organizza per tutto l’anno
E’ affezionato alla sua bicicletta
e ogni giorno si fa una pedalata.
Da quando abitava nel centro storico
ebbe inizio questa dedizione.
Ora che abita in periferia
si sposta con la bicicletta ogni giorno
sia in salita che in discesa
sul manubrio
porta le borse appese
sono piene di vettovaglie:
pane, pasta e pure l’aglio.
Questa storia dura da sessanta anni
da quando si sposò Giovanni
ora che ha ottantasette anni
è andata in malora la bicicletta.
Molte persone vanno ai medici
e si lamentano per i malanni
Con le pedalate che lui ha fatto
dolori ne accusa pochi e niente.
Allora sai che ti dico Giovanni
ti auguro di vivere cento anni
e se ti avessimo imitato
chissà quanto anni avremmo potuto
vivere di più.

      U cεppon nuv a tutta pruəv
              26.12.2010

Cu’ ll car na saett!
E litt i e litt a dedεch i a traduzzion
i ancuεr na n’egghiə acchiat a drett.
U fatt iə codd, i pör codd ca a cond
ma leggh litt diəsc volt a lizziön
i nan e capet c’iə l’acc i c’iə u fərmagg pond.
Inzomm sε puət sapaiə accumm ama’screvεr bun?
pəccè stiə codd ca screv dε na maniər
i stiə nat’on chiu brav ancuər ca’ a liəsc all’abbun.
O liscə na locanden du teatr
o liscə nu manfest di zët
stie cε a liəsc dε na maniər i ci d’lalt.
Na’n scem parlan di local gazzett
ca chedd mangh ci spar
sε dεcedεn d’acchià a grett.
I stön chedd ca sε dichiar’n putignanes antech
ca pör c’ion fatt l’unεversεtà
nan za sentn pε na fa troppa fatech!
Mo pε tutt onestà egghia descεr, i pε decòr,
ca stie iön ca s’inderessat cui fattεr
i o fatt nu bell manual, i si fatt por onòr.
Iə iör ca cε dam da fa cull’ abc putignanes
se no am’affà brutta fεgor
cu i bares i pör cu i casdanes.
Eiə eggh pεgghiat l’ös, accum iə viər,
ca nu ceppon l’eggh a chiandà cu volantèn
senza pεnzà cε viə nda n’avvucat o n’ugigniər.
Bè, pεgghiam esembiə da chess duə amèsc
ca da operaiə dε nodd so stat capasc
dε mannà i studios paesan tott all’alesc.
Eiə a cond a mod meiə i sond cuntend
vou cε sapèt fa meggh
datεv da fa i sciat a fa tott ndo cummend.

agan

        La propaggine a tutta prova

Possano essere fulminati!
Ho letto e riletto la dedica e la traduzione
ed ancora non ho capito niente.
Il fatto è quello, ed anche chi lo racconta
ma l’ho letta dieci volte la lezione
e non ho capito chi è il sedano e chi il formaggio punto.
Insomma si può sapere come scrivere bene?
Perché c’è chi scrive in un modo
e chi più bravo la legge diversamente.
O leggiamo una locandina del teatro
o leggiamo un volantino degli sposi
c’è chi legge in un modo e chi in un altro.
Non ne parliamo dei giornali locali
perché quelli neanche se li spari
si decidono di trovare il giusto modo di scrivere.
Ci sono alcuni che si vantano di essere putignanesi antichi
ma anche se sono laureati
non se la sentono per non fare troppa fatica!
Ora in tutta onestà dirò, e per decoro,
che c’è uno che si è interessato con i fatti
ed ha redatto un bel manuale, e si è fatto onore.
E’ giunto il momento di darci da fare con l’abc putignanese
altrimenti faremo brutta figura
con i baresi ed anche con i castellani.
Io ho preso l’abitudine, come è vero,
che una propaggine la devo pubblicare col volantino
senza badare se è diretto ad un avvocato o ad un ingegnere.
Bè, prendiamo esempio da questi due amici
che da semplici operai sono stati capaci
di surclassare i compaesani con la laurea.
Io racconto a modo mio e sono contento
voi se sapete fare megliodatevi da fare e … datevi da fare.


agan
   
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Manifattura Tabacchi di Bari.
Questa vicenda è veramente accaduta. Volentieri la racconto poiché fa parte della memoria storica dell’opificio che nessuno potrà più rammentarla e tramandarla ai nuovi assunti poiché lo stabilimento ha chiuso definitivamente i battenti da anni.  
Era uso nei momenti di pausa di lavoro che si formasse da qualche parte dello stabilimento qualche capannèllo dove un operaio, solitamente anziano, teneva banco. L’argomento era libero a discrezione dell’«oratore» e del momento contingente. Più l’argomento era interessante e più l’assembramento aumentava salvo i casi in cui il tema era riservato e specifico. Di storie lì se raccontavano molte, ma questa è veramente toccante: degna di una pagina deamicisiana.
Subito dopo la fine dell’ultima guerra, una famigliola di sfollati leccesi approdò nella città di Bari. Tutta l’Italia attraversava un periodo di povertà evidente ed ancor più gli sfollati che avevano perso quel poco che avevano e che tentavano la fortuna altrove. Seppelliti i loro cari una madre già anziana con due figlie già in età da marito trovò rifugio in un tugurio nei pressi di via Crisanzio, nei pressi della vecchia Manifattura Tabacchi. Ben presto i forestieri fecero conoscenza con i vicini di casa e come succede tra persone della stessa condizione sociale, per dirla tutta, tra poveri, cercavano un aiuto per trovare lavoro. Di bocca in bocca il fatto lo venne a sapere una donna dello stesso rione dipendente del tabacchificio che senza pensarci due volte lo raccontò alle sue colleghe. La notizia fece il giro dell’azienda e siccome c’era richiesta di sigaraie, la stessa operaia fu incaricata di raccogliere informazioni in modo discreto prima di convocarla per un eventuale colloquio. All’epoca i concorsi erano riservati agli impiegati. Sorse un problema che la stessa operaia nonostante la sua buona volontà non riusciva a risolvere e così si confidò con la capo-sala. Le due figlie erano gemelle, belle, mature, e come se non bastasse, si somigliavano come due gocce d’acqua. Questa semplice notizia, però, divenne un «caso»: solo una delle due poteva essere assunta. La decisione di accettazione spettava alla capo-reparto e questa iniziò un carteggio confidenziale tra la sua operaia e la famiglia leccese, un vero va e vieni di informazioni per trovare una soluzione: quali delle due? Scartata l’ipotesi che non si potevano assumerle entrambe poiché una delle due doveva per forza rimanere in casa per accudire alla madre malata, non autossuficiente e per accudire alla  casa. Le sorelle andavano d’accordo in tutto e per tutto. Ma neanche loro sapevano risolversi. Per entrambe l’importante era non perdere l’occasione. A decidere fu la capo-reparto che saggiamente ed in modo sbrigativo prese un cestino, mise due bigliettini con i due nomi e fece tirare a sorte alla sua operaia. Poiché non ricordo i loro nomi diciamo che si chiamavano Maria e Anna. Fu estratto il nome di Maria. E Maria fu assunta. Tutti espressero compiacimento per come si svolse la vicenda. Possiamo immaginare la contentezza di Maria e della sua famiglia: un vero miracolo! Tutto procedette bene per più di un decennio sin quanto Maria si ammalò. Leucemia. Un male che nulla aveva a che fare con l’ambiente di lavoro. Ma in poco tempo la giovane donna morì. La madre era già morta da anni e così Anna rimase sola e disperata. La capo-reparto si mise a capo di un gruppo di operaie partecipò al funerale. Alla fine delle esequie si avvicinò ad Anna e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio. Senza farsi notare. La capoccia aveva escogitato un piano eccezionale e lo aveva segretamente sottoposto ai suoi colleghi dello stabilimento i quali acconsentirono unanimemente. Dopo otto giorni Anna, senza seguire alcuna formalità burocratica, segretamente, occupò il posto di Maria. E come tutte le belle favole, tutti vissero felici e contenti e silenti.    
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Manεfattör di Tabbacch dε BBär.
Stu fatt ì succiss avveramend. I ng teng tant a descεavell pεccè fasc part di fattεr du stabbεlεment ca nεssön i puεt chiow tramandà e giovεn dεpεndint  pεccè a Manεfattör o chiös i battind da tant ann. Dà iër ös, pε i fattεr imbortand, ca durant a pausə dε lavör, siə nde repart ca nde laboratoriə, n’operaiə, quas semb anzian, sε mettev a fa nu cumezziə sop a nu fatt ca erεna sapà tott. Dε storie dà se ne descevεn tant, ma chess iə verament bell: degn dε na paggεn deamicisiän.
Sobbεt dopp a fën dell’otεma guerr, na famegghiə dε sfollät lεccës arrεveiə a BBär. Tott l’Italiə er nda nu stät dε mεseriə i pε i sfollät a crës er chiu gnör dε lalt pεccè chedd erεn stät custrett a venn codd pecch ca tεnevεn, i sceiə nda nata cεttà p'acchià fεrton. Dopp ca a cristian avëv prucät u marët i lalt parind murt de guerr, da Lecc sceiə a BBär cu do fël femmεn, già in età p'acchià marët, i acchieiə appüsc nda nu iös a veiə Crisanziə, nde vεcεnanz da Manεfattör di Tabbacch. Sobbεt i forestïr fescεr amεceziə cu i vεcën dε cäs i accumm facεlment succïεd tra povεridd cercarεn informazziön pε acchià fatech. Mang a farl appost propriə nde vεcnanz gavεtäv n’operaiə da Manfattor ca nan sε fësc mangh prεgà ca sobbεt s’interesseiə. «Egghiə addumannà cu ddiscrezziön», dess e forestïr, «cε stiə a pussebbεlεtà d’assömεr, chedd a fascεn sεcör». I accussè fuə. A stu pond vegghiə a descεr ca all’epεch i cuncurs pobbεlεc sε fascevεn scεchett pε l’imbiegät.  L’operaiə erεn segnalät da conuscint o parenti du personäl du stabbεlεment i selezzionät dεrettament da Direzziön d’accurd cu i maestranz. Dopp ca a caposäl dεcεdeiə d’assomεr a lεccës, succiss nu problïεm. I pεccεledd erεn gemell, bεrεfatt, prosperös, i mangh a fall appost assεmεgghiavεn a cumm do gocciə d’acquə. Nεssön sapëv qual di duwə ër a scei a fadgà! Tott  i duwə erεn dispunebbεl i mangh a mamm sapëv accumm ër a fa: cε accundεndäv a iönə , sapëv ca scundεndäv l’alt. Quann l’operai ngiù dess a cäpεrepart chess s’accumenzei a grattà a cäp. I sεccöm i superiör na nε vulevεn sapaiə, na sër sceiə a fa na vesεt ndo ios. Rεmmaneiə meravigliat assiә da somiglianz i senz perd timb dess: «Mε so mbignät cu i superiör ca egghiə assomεr n’operaiə i cε sët tott d’accurd fascëm nu surteggiə u nöm ca ess o sceiə a fatεgà». Pigghiei na speciə dε canestr dε pagghiә - ca stäv dà stess accumm nu soprammobbεl - mεtteiə do bεglitt cu i do nöm, ruzzεleiə accumm sε fäsc cu a sacchett da tombεl, i iedda stess fësc l’estrazziön. Dät ca nän m’arrεcord a cumm sε chiamävεn i do pεccεledd dεscëm ca iön ër Mareiə il’alt Addolorät. Asseiə u nöm dε Mareiə. I Mareiə sceiə a fatεgà. Tott forεn cuntind accumm fu sεstεmät u fatt. Putëm immaggεnà u prisc dε Mareiə i da famegghiə: nu vër mεrachεl! Tott sceiə tranguellament pε chiow dε na dεscena d’ann sin a quann Mareiə careiə malät. Leucemeiə. Nu mäl ca nän avëv nodd a cceffà cull’ambient fεtend du stabbεlεment. I nda pecch deiə Mareiə sε nε mors. A mamm ër già mort da qualchi ann, i accussè Addolorät rumaneiə söl i dεspεrät. A cäpεrepart nziεm all’alt operai sceiə o funeräl. Alla fën s’avvεcεneiə a Addolorät i nda recchiə ng dess qualchi cös. Accumm na cös dε nodd. Dε cε sε trattäv? Chedd ër pεnzät nu strataggemm. Ng l’ër dett segretament all’alt cäpεrepart du stabbεlment i tott d’accurd avevεn decës. Dopp tre deiə Addolorät, senza fa dumandε, i senza fa cart falz, pεgghieiə segretament u pust da suεr. I accumm i bell favεl, tott cambarεn fεlesc i cuntind. I « senz azzεttà ».


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